Contabilità semplificata sempre più utilizzata nei piccoli comuni
Sono sempre di più i piccoli comuni che applicano la contabilità economico-patrimoniale semplificata e quindi non redigono il bilancio consolidato.
La fotografia più aggiornata è stata fornita nel resoconto della riunione della Commissione Arconet dello scorso 27 settembre ed è piuttosto nitida: nel 2022, circa l’80% degli enti con popolazione fino a 5.000 abitanti hanno esercitato la facoltà prevista dall’art. 232 del TUEL e di elaborare solo lo stato patrimoniale con modalità semplificate.
Gli stessi enti, simmetricamente, si avvalgono della deroga di cui all’art 233-bis rispetto all’obbligo di consolidare i propri bilanci con organismi strumentali, enti strumentali e società partecipate.
Cosa significano questi dati?
Ovviamente dipende dalla chiave di lettura. Si potrebbe dire che la mancanza del secondo binario contabile (quello civilistico) priva gli organi di governo di oltre 4.000 comuni di un fondamentale elemento conoscitivo. Sì, perché a legislazione vigente la contabilità economico-patrimoniale ha esclusivamente valenza conoscitiva.
Tuttavia, chiunque abbia assistito ad una seduta consiliare di approvazione di un rendiconto della gestione comprensivo anche di conto economico e stato patrimoniale o di un bilancio consolidato sa bene qual è il grado di fruizione di questi elementi conoscitivi da parte dei consiglieri medi. E chiunque abbia lavorato a questi documenti con un minimo di consapevolezza non potrà negare la loro scarsa qualità media (ovviamente ci sono delle eccezioni, ma appunto non alzano la media).
Ecco allora che i dati riportati da Arconet possono prestarsi ad un’altra chiave di lettura. Ovvero che applicata così la contabilità economico-patrimoniale non serve a nulla (o a molto poco). Tanto che in effetti la sua mancanza non sembra avere determinato particolari scossoni negli enti che hanno deciso di farne a meno.
Se questa chiave di lettura fosse anche solo parzialmente verosimile, ci sarebbe da interrogarsi sulla bontà della riforma 1.15 del Pnrr, che come noto prevede l’introduzione nel settore pubblico di un sistema contabile economico-patrimoniale basato sul principio accrual.
Se è vero che, come la stessa Arconet ha confermato nella riunione del 15 febbraio 2023, l’accrual non soppianterà la contabilità finanziaria autorizzatoria, che resterà il sistema principale, ma costituirà solo un percorso di perfezionamento del sistema contabile previsto dal decreto legislativo n. 118 del 2011, da realizzare attraverso un adeguamento del principio contabile applicato concernente la contabilità economico patrimoniale vigente ai nuovi standard nazionali ITAS ispirati agli IPSAS. Se tutto questo è vero e non abbiamo motivo di dubitare che non lo sia, la domanda è: ne vale davvero la pena? È davvero sensato insegnare l’eco-pat a chi (oltre 4000 enti) per anni ha potuto scegliere di non applicarla e dovrà comunque continuare ad applicare la finanziaria? Basterà organizzare qualche webinar per colmare una gap così ampio?
Su questo, sarebbe interessante aprire un dibattito serio, che però tenga conto della realtà e non di sterili posizioni professorali.
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I limiti conoscitivi di una contabilità economico patrimoniale derivata dalla finanziaria sono evidenti e noti, e valgono per tutti gli enti locali, indipendentemente dalla dimensione: ne ho già parlato, esprimendo la mia personale posizione, in un commento ad un precedente articolo di Matteo Barbero del 17/03/2023. Pertanto, si può concordare sul fatto che, applicata così, la contabilità economico-patrimoniale non serve a nulla (o a molto poco). Ma sappiamo bene che la riforma 1.15 del Pnrr arriva da lontano, e non certo (purtroppo) per rispondere alle esigenze informative degli enti locali.
Ma allora si dovrebbe ragionare su come può e su come dovrebbe essere migliorato il sistema informativo contabile di ciascun ente, nell’esercizio dell’autonomia che ciascun ente ha, proprio partendo dalle esigenze informative che devono, o dovrebbero, essere soddisfatte, in tutti gli enti, con l’ausilio di questo importante strumento informativo.
Il fatto che l’80% degli enti con popolazione fino a 5.000 non abbiano sentito questa esigenza, non dovrebbe essere un motivo valido per mettere in discussione la riforma 1.15 del Pnrr, che, ricordiamolo, non arriva per caso e arriva dall’Europa; e che pertanto si farà ed interesserà comunque tutti i comuni. D’altra parte, proprio per rimanere nella realtà, non sembra che aver insistito per tanti anni sulla centralità della contabilità finanziaria, la sola che sembrava essere utile per i comuni, e sull’affiancamento dell’economico patrimoniale solo a fini conoscitivi (espressione che serve solo a svilire lo strumento) abbia semplificato le cose: basta leggere e provare ad applicare i principi contabili che guidano la gestione del sistema contabile integrato di cui al D.Lgs 118/2011 per rendersene conto.
Quello che, invece, mi chiedo, e che alla fine risponde a tante domande, è come sia possibile che nel 2022, l’80% degli enti con popolazione fino a 5.000 abbia scelto di elaborare solo lo stato patrimoniale con modalità semplificate, investendo risorse ed energie in un adempimento ancora più inutile deleterio, quale fonte informativo-conoscitiva: un ragioniere dovrebbe quanto meno aver chiaro che fare lo stato patrimoniale con modalità semplificata è peggio di non farlo per niente; così come dovrebbe essere chiaro che si tratta di semplificazioni solo apparenti.
Allora non si può non concordare con l’autore sul fatto che, in queste realtà, non basterà certo qualche webinar per colmare un gap così ampio!