Il lavoro straordinario
Tutte le pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli enti locali, devono essere attente alla corretta utilizzazione dello strumento del lavoro straordinario. Occorre, in particolare, restare rigidamente sia nel tetto di spesa complessivo, sia nel tetto orario individuale annuo: non si deve utilizzare questo istituto per lo svolgimento di attività ordinarie e le prestazioni devono essere autorizzate.
Si deve ricordare che la remunerazione, sulla base di una recente sentenza della Corte di Cassazione, deve essere garantita anche in assenza di autorizzazione o con la stessa rilasciata in modo irregolare, qualora vi sia stato il consenso del proprio ente.
LE DISPOSIZIONI CONTRATTUALI
Le norme di riferimento sono contenute nell’articolo 14 del CCNL 1.4.1999, nell’articolo 39 del CCNL 14.9.2000 e nell’articolo 32 del CCNL 16.11.2022, che ha peraltro disapplicato l’articolo 38 del CCNL 14.9.2000. Occorre inoltre ricordare le previsioni dettate dall’articolo 33 del CCNL 16.11.2022 sulla banca delle ore, disposizione che ha disapplicato l’articolo 38 bis del CCNL 14.9.2000.
L’articolo 14 del CCNL 1.4.1999 fissa la misura dello specifico fondo nelle somme destinate a questo fine nell’anno 1998 tagliate del 3%. Tali somme possono essere incrementate solamente in presenza della “necessità di fronteggiare eventi eccezionali”. Il tetto massimo individuale è fissato in 180 ore.
L’articolo 39 del CCNL 14.9.2000 stabilisce che rimangano al di fuori del tetto di spesa e di quello individuale le prestazioni svolte per consultazioni elettorali e referendarie e quelle per “eventi straordinari imprevedibili e per calamità naturali”. La disposizione disciplina poi lo svolgimento di queste attività nelle giornate di riposo settimanale in caso di consultazioni elettorali e/o referendarie, ivi compresi i titolari di incarichi di elevata qualificazione.
L’articolo 32 stabilisce che il lavoro straordinario non può “essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell’orario di lavoro”. Stabilisce inoltre che occorre l’autorizzazione del dirigente, senza disporre espressamente che essa debba essere necessariamente preventiva, e che vanno escluse le autorizzazioni rilasciate in “forma generalizzata”.
Sulla base delle previsioni dettate dall’articolo, si può in contrattazione decentrata superare il tetto massimo del 2% dei dipendenti che possono essere autorizzati al superamento del tetto individuale annuo: questa possibilità non è più limitata al solo personale degli uffici di staff degli organi di governo.
Viene stabilito che il compenso sia calcolato sulla base della retribuzione base mensile maggiorata della tredicesima e divisa per 156; questa cifra deve essere maggiorata del 15% per il lavoro straordinario diurno, del 30% per quello festivo o notturno e del 50% per quello notturno-festivo. Di norma, non si devono comunque superare le 10 ore giornaliere. Ed infine, su richiesta del dipendente, si può dare corso al recupero compensativo in luogo della erogazione del compenso.
L’AUTORIZZAZIONE
Le prestazioni di lavoro straordinario devono essere remunerate anche se mancano gli atti di autorizzazione e/o gli stessi siano illegittimi. E’ questo il principio fissato dalla sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 27878/2023.
Viene fissato il seguente principio di diritto: “Il dipendente che abbia eseguito, in favore di soggetti terzi e con il consenso della P.A. di appartenenza, prestazioni, rese nell’ambito del rapporto di lavoro oltre il normale orario, ai sensi dell’art. 13 della legge regionale n. .., ha diritto ex art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c. ed alla luce degli artt. 35 e 36 Cost., al pagamento della retribuzione a lui dovuta per il lavoro straordinario svolto. Tale retribuzione è determinata in base alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale applicabile (e della contrattazione integrativa che ad essa si conformi), senza che rilevi la mancata approvazione, da parte della medesima dei progetti relativi a siffatte prestazioni e dei correlati atti interni di riparto, fra il personale interessato, delle somme riscosse in dipendenza della loro erogazione“.
In premessa, leggiamo che “gli unici criteri di quantificazione dei compensi dovuti ai dipendenti sono quelli indicati dalla contrattazione collettiva nazionale (o da quella integrativa che la rispetti), con l’effetto che, quando, come nella specie, siffatti compensi sono calcolati sulla base di precedenti provvedimenti della P.A. interessata non rispettosi della contrattazione appena citata, la relativa determinazione è illegittima”.
Questo principio deve essere temperato con la constatazione che “vi sono, nel nostro ordinamento, situazioni in cui la nascita del diritto a percepire parte della retribuzione è condizionato non dalla sola prestazione dell’attività, bensì anche dall’adozione di specifici atti od autorizzazioni, in assenza dei quali il dipendente può fare valere solo un’azione risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il legislatore ha posto a carico delle amministrazioni”. Questo principio “non può tradursi nel negare la retribuzione del lavoratore che abbia prestato l’attività oggetto di causa solo perchè il progetto ed il separato atto di cui sopra non risultano essere stati adottati. Questa S.C. ha certo affermato che le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo che non le rispetti è invalido e le rende ripetibili. Tale regola, tuttavia, non concerne automaticamente tutte le ipotesi nelle quali la prestazione, che rientri fra quelle tipicamente svolte dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro già costituito, è fatta eseguire dalla P.A. datrice di lavoro, pur in assenza dei requisiti di validità della stessa e in violazione di norme di legge o di contrattazione collettiva: in questa eventualità, trovano applicazione l’art. 2126 c.c. e il diritto al pagamento del compenso”.
Ci viene detto che, se siamo in presenza “di attività che rientra nell’ambito del rapporto lavorativo, il dipendente, ove questa sia stata svolta nell’orario lavorativo ordinario, non potrà avanzare pretese. Al contrario, qualora detta attività sia stata richiesta dal datore di lavoro oltre il debito orario ed integri gli estremi del lavoro straordinario, il personale deve essere specificamente compensato, nei termini stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale (o da quella integrativa che alla prima si conformi). Non è di ostacolo a siffatto esito la mancanza di una autorizzazione formale o di uno o più atti separati che ne disciplinino nel dettaglio l’esecuzione ed il compenso. In simili casi, per autorizzazione si intende il fatto che le prestazioni siano state svolte non insciente o prohibente domino, ma con il suo consenso, che può anche essere implicito e giustifica il pagamento del lavoro straordinario. In pratica, nel settore del pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario, spetta al lavoratore, che abbia posto in essere una prestazione rientrante nel normale rapporto di lavoro, anche ove la richiesta autorizzazione sia illegittima o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost. prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario, se autorizzato nei termini sopra menzionati, con conseguente applicabilità dell’art. 2126 c.c. Il diritto a vedersi retribuita la prestazione resa, se rientrante nell’ordinario rapporto di lavoro ed autorizzata, trova tutela anche nella recente sentenza n. 8 del 2023 della Corte costituzionale, che individua nell’art. 2126 c.c. la disposizione che giustifica la pretesa a conseguire il corrispettivo per la prestazione fornita di fatto, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”.
La sentenza stabilisce infine che, “in tema di pubblico impiego privatizzato, l’affidamento di incarichi di progettazione, direzione lavori e simili, a lavoratori dipendenti della stazione appaltante in mancanza di stanziamenti previsti per la realizzazione dell’opera cui gli incarichi si riferiscono, se impedisce il sorgere del diritto al compenso incentivante ai sensi dell’art. 18 della L. n. 109 del 1994 (nel testo all’epoca vigente), tuttavia non fa venire meno il diritto del lavoratore alla retribuzione aggiuntiva per lo svolgimento di attività oltre il debito orario di tali prestazioni di lavoro, corrispondente – in mancanza di altri parametri – alla misura propria del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva tempo per tempo vigente, in quanto il consenso datoriale, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.”.
La sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro 3 ottobre 2023, n. 27878 è un fuori contesto, da considerare oggettivamente erroneo e non condivisibile.
Essa va in aperta contraddizione con la logica e con precedenti e più consolidate pronunce, tutte concordanti nell’evincere l’assoluta necessità che l’autorizzazione sia preventiva, scritta e, dunque, espressa,
Sul punto, la Sezione Lavoro, con sentenza 27.7.2022, n. 23509, aveva sancito, richiamando consolidatissima giurisprudenza: “la disciplina dettata nei diversi comparti dell’impiego pubblico contrattualizzato è espressione dell’orientamento, già formatosi in epoca antecedente la contrattualizzazione, in forza del quale il diritto al compenso per il lavoro straordinario presuppone la previa autorizzazione dell’ente (cfr. Cass. n. 2709/2017; Cass. n. 2737/2016; Cass. n. 20789/2007); attraverso quest’ultima, infatti, la P.A., nel rispetto dei principi costituzionali dettati dall’art. 97 Cost., persegue gli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto l’autorizzazione medesima implica innanzitutto la valutazione sulla sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che rendono necessario il ricorso a prestazioni straordinarie e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio, compatibilità dalla quale non si può prescindere in tema di costo del personale, come reso evidente dalle previsioni dettate dagli artt. 40 e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo (Cass. 41251/21, cit.; nello stesso senso si era pronunciata anche la giurisprudenza del giudice amministrativo: cfr., fra le altre, Cons. Stato, Sez. III, 16-01-2013, n. 227; Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2010 n. 8626; Cons. Stato, Sez. III, 15 febbraio 2012 n. 783 secondo cui la formale autorizzazione costituisce, per la P.A. e per il dirigente del servizio cui è assegnato il dipendente che svolge il lavoro straordinario, assunzione di responsabilità gestionale e contabile da cui non si può prescindere)“.
Di per sè questa ricostruzione interpretativa e di richiamo della precedente giurisprudenza potrebbe considerarsi conclusiva. Ma, la sentenza 23509/2022 rincara la dose: “l’assenza della autorizzazione non sarebbe stata comunque surrogabile da un (ipotetico) previo assenso orale; né, tanto meno, la circostanza della manchevolezza dell’atto autorizzativo poteva essere eclissata dalla sottoscrizione del successivo «nulla osta» sui fogli di liquidazione delle ore di lavoro straordinario da parte della dirigente della struttura. Com’è agevole constatare, trattasi di ragionamento che si appalesa in sintonia con l’indirizzo di questa Corte secondo cui, nell’ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze di una azienda sanitaria locale, compete al lavoratore il diritto al compenso del lavoro straordinario espletato, per come disciplinato del c.c.n.l. di categoria, solo in presenza di preventiva autorizzazione del dirigente responsabile all’espletamento dello straordinario, restando escluso che possa qualificarsi quale autorizzazione in sanatoria la certificazione da parte della amministrazione circa lo straordinario già espletato dal dipendente (cfr. Cass. n. 20789/07, cit.; cfr. altresì Cass. n. 2737/2016 e Cass. n. 41251/2021). Le pubbliche amministrazioni, infatti, agiscono, in specie nei rapporti di lavoro, attraverso specifiche valutazioni delle esigenze organizzative e di servizio da acclarare con atti formali, anche a sanatoria ma sempre motivati, a tutela dell’erario e dello stesso personale, che non può quindi rivendicare la retribuzione di prestazioni attuate autonomamente seppure per asseriti apprezzabili scopi; Cons. Stato, sent. n. 783 del 2012, cit.)“.
L’aspetto dirimente che persuade dell’erroneità, grave, della decisione 27878/2023 è proprio questo: detta interpretazione, assolutamente minoritaria, finirebbe per consentire ai lavoratori di decidere da se stessi se e quando espletare lo straordinario, creando una sorta di presunzione di autorizzazione dovuta ad assenza di espresso dissenso.
Un modo che sovverte totalmente ogni regola organizzativa e di gestione del rapporto di lavoro e che esporrebbe la PA alla totale perdita del controllo delle risorse finanziarie ed umane.
La sentenza 27878/2023 della Cassazione, quindi, è opportuno considerarla per quello che è: un – inspiegabile – incidente di percorso, una voce fuori dal coro che non si fa apprezzare per originalità e fondatezza della diversa visione, ma rivela, invece, gravi fraintendimenti della normativa, sì da non potersi in alcun modo considerare quale fonte di disciplina dello straordinario.
Luigi Oliveri
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